Quattro
capitoli intensi con cui lo storico francese, che ha dedicato la sua
vita professionale principalmente allo studio della Shoah, cerca di
schematizzare gli anni dello sterminio: la fase di persecuzione
1933-1939, la concentrazione 1939-1941, la radicalizzazione
1941-1942, il genocidio su scala continentale 1942-1945. Una sorta di
atlante storico, dettagliato, documentato, arricchito da un testo
sintetico ma esaustivo per dare alla Shoah anche un'immagine grafica
Cosa
fa lo storico inglese? Cerca di colmare una lacuna della storia:
cerca cioè di aggiungere all'immaginario collettivo, che fa un
tutt'uno dei campi di concentramento, Auschwitz, Olocausto, una serie
di dati e di informazioni: i Konzentrationlager appartenevano ad
un'ampia rete di terrore che coinvolgeva polizia, tribunali, carceri,
ghetti, campi di lavoro, avevano un'organizzazione industriale,
gestita della SS col criterio economico del massimo rendimento per
minima spesa. Questa è una storia che ne illustra in dettaglio la
natura e l'attività. Il collegamento con il testo precedente è non
solo con i numeri (nel 1945 si contavano 27 campi principali e 1100
campi satellite fra Germania e territori occupati) ma anche in
termini di trasformazione legata alla trasformazione stessa dello
sterminio.
Un
lavoro scritto da un tedesco, di Germania e che in Germania è
rimasto fino alla morte (scontando pure una condanna, voluta dai
russi, per spionaggio nella Ddr tra il 1948 e il 1956). Sono
interviste, brevi, brevissime, parte di un programma che ha impegnato
l'autore per decenni: Lei ha visto Hitler? era la domanda posta a
chiunque per strada. Ciascuno degli intervistati rispondeva, con
maggiore o minore sincerità, dichiarando sempre dov'era nel momento
del passaggio di Hitler e riferendo a quali avvenimenti avesse
assistito, che ruolo avesse nella società, come gli fosse sembrato
Hitler. E' un'indagine sul nazismo, sugli effetti e sui lasciti nella
società tedesca.
E'
un libro in memoria: Marek Edelman è morto nel 2009 ma i due autori
l'hanno intervistato nel 1997 e quindi ne possono raccontare la
storia. Ebreo polacco, chiuso nel ghetto di Varsavia di cui nel '43
organizza l'insurrezione. Di se stesso dice. “ Sono semplicemente
il guardiano delle tombe del mio popolo”, come lo è, insieme ad
altri testimoni e sopravvissuti, del mondo ebraico cancellato dalla
Shoah. Edelman, antisionista convinto e sostenitore invece di
un'Europa democratica e socialista in cui regnasse la fratellanza dei
popoli, si è sempre schierato per difendere le cause “giuste”,
Solidarnosc in primis ma anche Sarajevo durante l'assedio nella
guerra in Bosnia Erzegovina.
Abram
Cytryn è un ragazzino: nato nel 1927 a Lodz nel sud della Polonia,
dove ha vissuto rinchiuso nel ghetto dal 1940 al 1944 e da dove è
stato deportato con tutta la famiglia ad Auschwitz. I 24 taccuini di
Abram, conservati dalla sorella (unica sopravvissuta alla
deportazione) costituiscono un documento eccezionale, al pari del
Diario di Anne Frank. Abram scrive, scrive per non affondare, scrive
per sopravvivere, scrive della vita quotidiana nel ghetto, scrive per
lasciare traccia come ammette da subito: “Gli abitanti ebrei...
sostengono, a ragione, che nessuno descriverà mai il loro inferno.
Io tuttavia vorrei trascinare in questa storia, con dolcezza, il
lettore e fargli conoscere, anche se parzialmente, questo universo,
in cui tragedia e commedia si mescolano”.
E'
una donna che scrive, una donna anziana ormai, di origine ebrea
polacca, ma residente in Francia al momento dell'occupazione nazista:
nel 1944 viene deportata con il padre ad Auschwitz-Birkenau, lei si
salva, lui no. Quel padre che al momento della deportazione le dice
“Tu tornerai, perché sei giovane”, quel padre è adesso il
destinatario di una lunga lettera in cui Marceline racconta nel
dettaglio tutto quello che è indelebilmente impresso nella sua
memoria, dalla cattura fino alla liberazione e al ritorno, ritorno a
casa e ritorno ad un vita “normale”.
Questo
è un libro sull'esodo. Siamo in Francia nell'estate 1940 e Werth,
ebreo, parte da Parigi per raggiungere il Jura: 33 giorni è il
diario della fuga da Parigi occupata, degli incontri fatti durante in
viaggio con gli altri ebrei in fuga, è anche il libro che Werth
consegna all'amico Saint-Exupery perché lo faccia pubblicare.
Saint-Exupery lo porta a New York, alla casa editrice Brentano (che
in tempo di guerra pubblicava libri francesi in traduzione), ma il
libro non viene pubblicato. Solo nel 1992 un'editrice francese scopre
il manoscritto e lo dà alle stampe.
Pahor
parla degli altri prigionieri, gli altri deportati, quelli con il
triangolo rosso, quelli come lui: i deportati politici, coloro che si
erano opposti all'autorità militare nazista in nome della libertà.
Una nuova testimonianza, dura e commovente di Pahor dopo il famoso
Necropoli e Come ho vissuto (sempre editi da Bompiani) sulla sua
esperienza nei lager.
Sono
passati sessant'anni e solo adesso Alberto Mieli (classe 1925)
racconta alla nipote Ester l'esperienza dei campi: dà voce alle
immagini che non lo abbandonano mai, giorno e notte. Rivive la Roma
nazifascista, le leggi razziali, l'arresto, l'arrivo ai campi,
l'odore, l'orrore, la fame... ancora incredulo per essere
sopravvissuto.
La
voce è quella di una giornalista, il protagonista del libro è Ennio
Trivellin, nato a Verona nel 1928 e di qui catturato il 2 ottobre del
1944 dalle SS in quanto aderente alla brigata partigiana Montanari
(era giovane, faceva la staffetta), portato a Bolzano e poi a
Mauthausen. Paola Dalli Ciani raccoglie la sua testimonianza, dopo il
lungo silenzio, quel silenzio che significa “dimenticare per
sopravvivere” e poi si trasforma in voce perché testimoniare
diventa dovere morale.
Appelfeld
è originario della Bukovina, regione della Romania, poi annessa
all'Unione sovietica nel 1940 e schieratasi a fianco della Germania
nazista nel 1941, occupata nuovamente dai Russi nel 1944 e annessa
all'Unione sovietica nel 1947, oggi divisa fra Ucraina e Romania.
Appelfeld
è un sopravvissuto. Riesce, bambino, a scappare dal Campo e a
sopravvivere in condizioni estreme, negando la propria identità.
“Oltre
la disperazione” raccoglie tre lezioni tenute alla Columbia
University di New York: non sono solo la testimonianza della sua
storia, ma anche un saggio psicologico/filosofico sulla memoria.
Appelfeld spiega cos'è la memoria per un sopravvissuto, quali i
tempi di elaborazione e di reazione, quali i sentimenti contrastanti
che dominano l'esistenza di chi è sopravvissuto. “L'immagine che
significa anche colori, profumi, suoni è la più fedele custode
della memoria. Chi ha attraversato la Shoah ha timore della memoria,
come fosse fuoco: Per molto tempo la mia generazione ha tenuto
nascosta e repressa, quando non ha rimosso, la memoria di quegli
anni. Dopo la Shoah era impossibile vivere senza mettere a tacere i
ricordi. La memoria è diventata il nostro nemico”.
“La
prima letteratura sulla Shoah era in forma documentaria, quella più
consona al giornalismo da collettivo plurale. Scrivere di sé e dei
propri sentimenti sembrava una cosa egoistica, quasi sconcia”.
Sono le mie letture, per oggi e per sempre, scelte fra le pubblicazioni degli ultimi mesi
Nessun commento:
Posta un commento