martedì 26 agosto 2014

MITI LADINI

Ricevere un racconto per posta e perdersi fra le sue righe, dimenticare per un attimo dove si è e in che tempo si vive. 
Mi piace condividere il dono inaspettato: eccolo


Na oùta, una volta
di Nicola Dal Falco

Na oùta, una volta, quando le guerre iniziavano d’estate, si combatteva per un tetto, un pascolo, un bosco. Non c’era tempo di aspettare, tutto doveva essere finito all’arrivo dei primi freddi.
Chi vinceva si prendeva il posto e la roba dell’altro.
È ciò che successe na oùta, una volta, tra due re abbastanza potenti da darsi battaglia.
Allora, fu il re di pianura a vincere sul re dei monti.
Vinse e si prese tutto.
Il re vinto venne risparmiato, ma dovette andarsene e per chi perdeva il regno l’unica via era quella delle crode.
Uscire dal mondo e finire i propri giorni tra i camosci.
Da allora, quel re sfortunato divenne per tutti il re dei baranci.
Un titolo di scherno, visto i luoghi impervi dove gli alberi, simili ad arbusti, si adattano a vivere.
Na oùta, una volta, trent’anni dopo, passò di lì uno stagnino.
Girava per riparare conche di rame e, cercando di abbreviare il cammino, incrociò il re dei baranci.
Nessuno dei due poteva dire di aver fretta e li venne naturale di sedersi, incominciando a discorrere.
A un certo punto, dopo lunghi e cortesi preamboli come è uso fare tra viandanti, il re dei baranci pose allo stagnino una domanda che aveva da tempo sulla punta delle labbra.
Chiese, con discrezione, ma anche con un pizzico di amor proprio, se, girando per il mondo, avesse conosciuto il re che regnava al suo posto.
«Si – gli rispose l’uomo – sono stato da lui per certi lavori e l’ho conosciuto abbastanza bene.
«E come sta»? – aggiunse il re dei baranci.
«Ho saputo dai servi che non è amato e che presto lo uccideranno – disse lo stagnino - morirà quando meno se lo aspetta, al momento del bagno».
«Una sorte crudele – osservò il re dei baranci – e ingiusta. Il re che mi ha battuto è un grande re, un
uomo valente e coraggioso, non può finire così senza potersi difendere, per mano di un sicario».
«Ascolta bene – continuò – prendi questo anello e portaglielo. Digli che lo invito e che sarà mio ospite.
Sali su quel cavallo e raggiungi il mio nemico, io lo aspetterò all’inizio del sentiero».
Na oùta, una volta, si vide una cosa mai vista, uno stagnino dalle gambe corte e svelto di parola montare a cavallo, salire in groppa ad un morello peloso e scattante con due occhi che tagliavano l’aria.
Giunto alla reggia, scorse il re dei monti nella sala del bagno e sentì le guardie ripetere che quello sarebbe stato l’ultimo bagno del re.
Lo stagnino riuscì ad avvicinarsi alla finestra e a chiamarlo.
Il re dei monti aveva il viso stanco, i pensieri vuoti, un’aria più che afflitta, rassegnata. Forse immaginava già cosa gli sarebbe accaduto.
«Sire – lo incitò – sire fuggite. Ho un buon cavallo per tutti e due…».
Ma, in quel momento, il morello scartò di lato, tirò le redini e s’imbizzarrì.
Il re, preoccupato per la sorte del cavallo, si rivestì in fretta e uscì.
Ormai, c’era gente in giro che guardava, che domandava e lo stagnino non sapeva più che fare. Provò a rimontare, ma il morello scalciò e sbuffò.
«Non sei proprio capace – gli disse il re – guarda come si fa». E con un salto salì in groppa.
Lo stagnino era piccolo, ma agile e subito si acchiappò al braccio che il re gli porgeva.
Na oùta, una volta, nessuno avrebbe immaginato che un cavallo potesse correre così veloce e sicuro in mezzo alla notte.
Mentre galoppavano ventre a terra, il re dei monti chiese allo stagnino:
«Dove stiamo andando»?
«Andiamo – gli rispose – dal re dei baranci. Questo è il suo anello».
Arrivarono al limite del bosco, dove inizia il sentiero e dove l’altro re aspettava il suo antico rivale. Si abbracciarono, commossi, risalendo insieme lungo il pendio.
Il destino li aveva riavvicinati più vecchi e con un peso sul cuore.
Na oùta, una volta, due re, il re di pianura e il re dei monti, fecero ammenda del proprio orgoglio, scegliendo di vivere in pace l’ultimo scorcio di vita.
E, na oùta, una volta, le crode fiorirono di rose come un giardino.


Miti ladini delle Dolomiti
Enrosadira
di Nicola Dal Falco
con le glosse e il saggio
Le rose del ricordo di Ulrike Kindl

Istitut Ladin Micurà de Rü
Palombi Editori, Roma 2014

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