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La nemica
“I figli iniziano amando i loro genitori, poi li giudicano, quasi mai li perdonano.” Queste parole dell’amato Wilde dovevano essere l’epigrafe, poi espunta, dellaNemica di Irène Némirovsky.
Il secondo romanzo dell’autrice, dapprima pubblicato con lo pseudonimo Pierre Nérey, è il racconto, serrato come un thriller psicologico, dell’odio viscerale che nutre Gabri, una bambina, poi adolescente, nei confronti della madre dissoluta. Nel tragico valzer che le due protagoniste intrecciano strette l’una all’altra, tra la Parigi degli anni venti e Biarritz, il volto della nemica assume, di piroetta in piroetta, i tratti prima della figlia, poi della madre, mentre nel vortice delle danze la violenza non è solo verbale, ma giunge a sorprendenti picchi letali. La nemica vuole dimostrare scientificamente l’impossibilità del perdono. La vendetta e il rancore graffiano le pagine del romanzo, scritto con uno stile fermo e pungente nel 1928, prima grande fucina da cui sarebbero nati i modelli di padri, madri e figli incarnati nei romanzi successivi, anche se la matrice originale era la famiglia naturale dell’autrice. Insipidi parvenu, avventurieri senza scrupoli, ridicole cocotte imbellettate come adolescenti fronteggiano le figlie assetate di vendetta e truccate da adulte: mentre nessuno è al proprio posto, la vita, veranemica di se stessa, scorre verso i più tragici risvolti, lasciando dietro di sé il silenzio di un destino consumato, della sterilità del tempo indifferente.
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