giovedì 19 giugno 2008

ANCORA UN GIORNO CON KAPUSCINSKI, CON L'AMORE UMANO DI MAKINE

L'Angola è il quinto stato africano per estensione: è più grande di Francia, Italia, Gran Bretagna e Portogallo messe insieme.
L'Angola è per più di due terzi arida ed inospitale.
L'Angola possiede ingenti risorse naturali: petrolio, diamanti, materiali ferrosi, a cui si aggiungono caffè, cotone, sisal...
L'Angola è tra i paesi meno popolati al mondo. Varie le ragioni: per tre secoli (dal 1573, quando il portoghese Paulo Dias de Novais fondò il primo insediamento dell'odierna capitale) il paese è stato il principale fornitore di schiavi per le piantagioni del Nuovo Mondo; la povertà, la malnutrizione e la mancanza di assistenza sanitaria hanno poi mantenuto basso il livello demografico; a questo si aggiunge lo stato di guerra in cui è stato costretto il paese da parte dei colonizzatori Portoghesi, interessati solo allo sfruttamento della colonia; e ancora il fatto che il Portogallo abbia mandato in Angola i criminali della peggior specie, considerandola come una propria colonia penale; infine la composizione della popolazione, prevalentemente del gruppo bantu, divisa in oltre cento tribù, non ha facilitato lo sviluppo del paese.
Queste sono le notizie che Kapuscinski sintetizza alla fine di Ancora un giorno, il suo reportage del 1975 sull'Angola. Questo è ciò che più o meno sapevo quando nel 2003 dalla riva sinistra del Cunene guardavo la sponda angolana. Sapevo che l'Angola non era più colonia portoghese e che una guerra intestina la stava dilaniando. Sapevo anche che ogni tanto qualche angolano tentava di raggiungere a nuoto la Namibia.
Guardavo a nord, dalla collinetta rocciosa sulla quale ero salita, guardavo oltre la vegetazione rigogliosa che ricopriva le rive del Cunene: solo terra e pietre rossastre. Non un villaggio, non c'era anima viva. Nemmeno animali. Almeno in Namibia, nell'area delle Epupa Falls, c'erano diversi insediamenti Himba. Al di là del fiume solo desolazione.
Non capivo. Erano passati quasi trent'anni dall'indipendenza e non c'era ancora nemmeno una parvenza di stabilità. Non capivo chi era contro chi.
E, a quanto dice il grande Kapuscinski, nemmeno allora era facile comprendere. Nel 1975 prima della dichiarazione d'indipendenza, quando i portoghesi lasciavano la colonia per rientrare in patria, quando l'MPLA di Agostinho Neto e l'FNLA di Holden Roberto si contendevano il potere, quando il contingente cubano sosteneva la rivoluzione e le truppe sudafricane attraversavano il Cunene... la confusione era grande.
Una guerra brutta, quella angolana, come tutte le guerre sono brutte. Una guerra che ha lasciato il paese allo sbando. Una guerra dalla quale lo stesso Kapuscinski è rimasto impressionato al punto da chiedere alla PAP, l'agenzia polacca per la quale lavorava, di essere rimpatriato. Una guerra che si è trasformata nel corso del tempo: da guerra per l'indipendenza a guerra per il potere. Potere politico e potere economico. E gli interessi politici ed economici in Angola sono tanti, sia interni che internazionali, sia privati che pubblici.
Anche il russo Andrei Makine ha scritto sull'Angola: sarà una coincidenza, ma nell'arco di pochi mesi mi sono venuti in mano ben due libri sull'angola. Due racconti diversi dello stesso mondo. Anche Makine descrive la guerra, attraverso un romanzo, con un meccanismo narrativo particolare: parte da un prigioniero per ripercorrerne l'infanzia, la storia di un'intera generazione decimata da una guerra che non comprendevano: con gli uomini che lasciavano le famiglie per andare a combattere per la libertà, i bambini che diventavano guerriglieri e le donne pure, per servire la causa. Una causa che non capivano e che li avrebbe annientati, se non fisicamente durante la lotta, sicuramente nel corso degli anni a venire quando le grandi potenze avessero deciso di trasformare l'Africa in un paese di conquista: non colonie, ma terre dove importare la democrazia e gli interessi economici occidentali. L'amore umano, del quale parla Makine. L'amore di chi in Angola ci è solo passato, forse. L'amore di chi, in ogni caso, è ripartito, lasciandosela alle spalle.
Un grazie di cuore ai giornalisti, agli scrittori e a quanti hanno cercato e cercano di farmi aprire gli occhi... e il cuore.
(Ancora un giorno, di Ryszard Kapuscinski, Feltrinelli, traduzione di Vera Verdiani - L'amore umano, di Andrei Makine, Einaudi, traduzione dal francese di Yasmina Melaouah)

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