venerdì 5 ottobre 2007

DA SAMARCANDA A BUKHARA

Da Samarcanda parto al mattino presto: direzione Bukhara con tappa intermedia, dopo due ore e mezza di strada, a Shakhrisabz. E' venerdì, giorno festivo per i musulmani, ma soprattutto giorno di matrimoni! Il cittadina non è particolarmente bella, le case lungo la via principale non hanno nulla di artistico: di primo acchito non si coglie il fascino di quella che è stata la città natale di Tamerlano. Poi la moschea di Kok-Gumbaz ed ancora più bello il complesso di Khazrati-Imam dove gli uomini, per lo più anziani, pregano all'ombra del porticato. Le donne sono indaffarate ad esporre le loro mercanzie nelle stradine e i nei cortili alberati dei dintorni: ricami floreali, eseguiti su tessuti di cotone per splendide borse di varie dimensioni e suzanne (i teli uzbeki da usare come tovaglia o copriletto). Sono delicate nel porgere i manufatti, molti dei quali ottenuti rielaborando tessuti della tradizione familiare, forse del corredo tramandato da qualche generazione, tanto sono consumati: da un lato mi rattristo nel pensare che la necessità impone di cedere parte della propria cultura, dall'altro mi accorgo che vado proprio a cercare quegli oggetti che sanno di vecchio, sanno di casa, di famiglia, di un'altra famiglia che non è la mia, ma che nelle mie mani vengono "coccolati" come lo sono stati in quelle della nonna uzbeka che li ha ricamati.
La visita continua con la residenza estiva di Tamerlano: il palazzo bianco, di cui resta solamente l'enorme portale d'ingresso rivestito di maioliche bianche e blu. A circa cento metri, la statua di Tamerlano con una grande folla di novelli sposi. La tradizione vuole la foto ricordo ai piedi del grande condottiero. Nonostante la temperatura elevata e il sole impietoso, deliziose "meringhe" al braccio di compiti sposi sono precedute dal suono di una lunga tromba fino alla statua. Colpisce lo sguardo delle spose: viso triste e occhi bassi. Domando se è perché di norma i matrimoni sono combinati e quindi le spose raramente sono felici il giorno del matrimonio: no, non è per questo, ma perché con il matrimonio si abbandona la vita spensierata dell'infanzia, dei giochi e dei sorrisi per affrontare seriamente il futuro e la donna deve dare dimostrazione di aver compreso e di aver accettato il destino del diventare adulta. Mi resta ancora qualche dubbio: non sono abituata a vedere le spose tristi.
Nel tardo pomeriggio arrivo a Bukhara e trovo sistemazione in un grazioso alberghetto poco distante dalla piazza Lyabi-Huaz e a nord del quartiere ebraico della città. Quest'ultimo, nonostante quanto immaginassi, non è particolarmente animato, non ci sono botteghe, si vedono per i vicoli ebrei ortodossi: non a caso la comunità di Bukhara è una delle poche al mondo che non parla yiddish, ma usa l'uzbeko, forse conseguenza della forte repressione subita nel corso dei secoli.
Bukhara è una bella città e doveva esserlo molto di più prima della dominazione russa, che ha smantellato le scuole coraniche, lasciando in stato di abbandono splendide madrase, e i ricchi bazar, dei quali resta ormai ben poco. Gli edifici, per quanto fatiscenti mostrano quello che doveva essere lo splendore di un tempo, ma dello spirito che doveva animare gli scambi e che portava in città genti dell'est e dell'ovest non c'è più. Le botteghe propongono belli oggetti dell'artigianato locale, soprattutto stuoie e tappeti di cotone o lana, oggetti d'argenti di provenienza pakistana, afghana e indiana. La gente s'ingegna a proporre i manufatti più diversi.
Dalla madrasa di Abdul Aziz Khan si sente una musica: il cortile interno è coperto di tappeti stesi al sole, le piccole absidi di accesso alle celle sono occupate dalle bancarelle dei mercanti di cappelli, di scatole di legno decorato, di strumenti musicali. Un uomo suona una specie di piccolo violino.
Giro senza meta fra le vie della città, osservando i volti delle persone, annusando l'aria e fermandomi a bere tè. Verso sera mi concedo uno spettacolo di marionette: non amo questo genere di intrattenimenti, ma la ragazza che lo propone ha lo sguardo troppo dolce per rifiutare. E mi diverto pure: tre ragazze inscenano una cerimonia di matrimonio, parlano inglese, muovono le marionette e interagiscono con loro, non risparmiando critiche alla tradizione. Immagino che con il ricavato si paghino gli studi: è una cosa buona, vale la pena di sostenere queste iniziative.
Al mattino presto, dopo opportuna scorta di acqua e frutta, si parte alla volta di Khiva: il deserto del Kizilkum.

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