martedì 18 settembre 2007

SAMARCANDA: GENGIS KHAN, TAMERLANO E...

Samarcanda era nel mio immaginario come Timbuctù, come Machu Picchu, come Kathmandu: un mito, uno di quei nomi che sin da bambino leggi sui libri di geografia ed arricchisci via via di fantasia. Una città reale e fantastica nello stesso tempo. Un luogo senza confini in uno spazio indefinito. La strada per Samarcanda è lunga (poco meno di 300 chilometri in 6 ore di auto), quasi a consigliare un approccio lento a quella che sarebbe stata la realizzazione di un sogno. Campi coltivati, prevalentemente a cotone, mercati di frutta e verdura, chaicane con uomini in conversazione adagiati sui comodi letti.
"La strada fra Tashkent e Samarcanda passa attraverso un paesaggio piatto e brullo. I primi soldati russi che vennero qui da invasori centoventitré anni fa la chiamarono 'la steppa della fame', perchè molti non uscirono vivi da questa piana riarsa, senza un albero e senza un corso d'acqua. A perdersi, ci si potrebbe morire di fame anche oggi, perchè, in qualunque direzione uno guardi, non si vedono a perdita d'occhio che campi di cotone. 'E il cotone non si mangia!' dicono gli uzbeki accorgendosi ora di come i russi prima e i bolscevichi poi li hanno intrappolati nel sistema economico coloniale, imponendo loro la monocoltura del cotone e rendendoli così completamente dipendenti da Mosca per tutti i loro bisogni". (Così Tiziano Terzani nel settembre del 1991, all'indomani della dichiarazione d'indipendenza della Repubblica Popolare Uzbeka)
E poi comincia a vedersi il profilo delle case, un po' di traffico cittadino: la cupola turchese del mausoleo di Guri Amir precede la magnificenza del Registan dove ben tre madrase decorate di maioliche blu e turchesi si affacciano sulla piazza appena illuminata dal tramonto.
"Samarcanda: un nome che sembra cantare, una di quelle mete della fantasia che uno si porta in petto dall'infanzia: Strana parola: Samarcanda! Si può anche non sapere che è una città, non sapere dov'è, non conoscere la sua stori, non legarla a quella di Tamerlano, ma il suo semplice suono, Samarcanda, è una promessa..." . Sempre Terzani in Buonanotte, Signor Lenin.
La scoperta della città, lenta e graduale, sfida i 40° al sole. Per prima cosa il Registan: le tre madrase imponenti si affacciano su una piazza, che nei secoli passati doveva essere il centro degli scambi commerciali. Ora di quel mondo è rimasto molto poco. I massicci restauri dell'epoca sovietica hanno risanato le facciate degli edifici, ma al contempo hanno annientato tutto il fermento di attività testimoniato orami solo dalle foto di inizio secolo. Quel tessuto di tende, banchi, animali, mercanti di di ogni etnia che raggiungevano Samarcanda dalla Cina, dalla Persia, dall'India e dall'Occidente non c'è più. Gli studenti che affollavano le scuole coraniche non ci sono più. Samarcanda è sopravvissuta alle invasioni, ai terremoti e alla storia, ma dalla storia è stata profondamente trasformata in un monumento.
Nonostante tutto, il Registan è uno spettacolo.
Ma il luogo forse più suggestivo di Samarcanda è Shahr-I-Zindah, la "tomba del re vivente", un complesso di piccoli mausolei decorati con piastrelle turchesi e blu, che ancora oggi è meta di pellegrinaggio. Il silenzio rende tutto irreale: non ci sono turisti, solo uzbeki in visita, un gruppo di maestre proveninti dalla Valle di Fergana.
Anche la sfortunata moschea di Bibi-Khanym merita una visita: commissionata dalla moglie di Tamerlano, l'edificio fu vittima della sua stessa grandiosità, iniziando a crollare poco dopo la sua costruzione. Mancano i disegni originali, quindi anche la ricostruzione è assai difficile: ci si è limitati a piccoli interventi, che hanno mantenuto in piedi solo le facciate e poco più.
Prima di riprendere il cammino verso Bukhara, non rinuncio al bazaar: prevalentemente mercato alimentare con merci ben ordinate e divise per generi, offre tutto quello che si può desiderare in termini di spezie, frutta secca e fresca, formaggi e salumi, caramelle e biscotti, pesce fresco e affumicato, carne, uova, dolci e torroni, ruote di pane, tè verde e nero. Un incanto per gli occhi e per il palato, perchè le simpatiche venditrici offrono assaggi di ogni tipo e spiegano, rigorosamente nella loro lingua, che cosa siano quei semi e che non ho mai visto prima.
Ultimo abbraccio di Samarcanda: la sua gente curiosa ed appassionata.

Nessun commento: